Intervista di Sergio Sorrentino a Stefano Taglietti

1) Come nasce il tuo interesse alla composizione chitarristica?

La chitarra, per varie e complesse ragioni, anche non strettamente
musicali, è uno strumento in continua evoluzione.
Mi piacciono le potenzialità che esprime, e anche quella possibilità di
avvicinare più persone all’ascolto di nuovi lavori compositivi. Mi
interessa comunicare, ancora una volta, attraverso la commistione di
caratteri e stili, in un unico linguaggio . La chitarra, in questo, ha molta
importanza e, credo, futuro.

2) Quali sono secondo te le peculiarità dello strumento ai fini
compositivi?
Sicuramente gli aspetti timbrici, le possibilità di ottenere un fraseggio
molto vario, viste le numerose strabilianti tecniche di esecuzione che con
questo strumento si possono adottare. Colori che nascono sicuramente
dagli aspetti tecnico-costruttivi , le possibilità di produrre l’armonia in
tante differenti maniere. Adoro quelle prassi esecutive che “totalizzano”
la chitarra, facendola diventare percussione, canto, tensione, dolcezza,
lontananza, grido lancinante, introspezione, cosmicità, energia. La
chitarra elettrica è straordinaria, anche attraverso l’uso di una tecnologia
semplice, dei pedali ed effetti, anche tradizionali come distorsori, delay, e
bow. Anche solo con pochi supporti, riesce a superare molti confini e può
diventare tutto e il contrario di tutto. La chitarra elettrica può travestirsi in
moltissimi convincenti modi. Nella scrittura di un concerto, o di una
sonata,questo strumento può far riflettere su molteplici aspetti della
ricerca e della connessione culturale, che travalica quelli musicali,
sconfinando addirittura nella politica, nella sociologia, nella letteratura,
unendosi, finalmente, con tanti aspetti musicali, addirittura creando un
significativo ponte temporale verso quel repertorio apparentemente
lontanissimo del 900 storico e dell’avanguardia.

3)Come definiresti il tuo stile?
La mia opera, come prospettiva musicale, vuole conquistare un
linguaggio che non esclude nulla a priori. La dimensione sonora è quella
di un recupero, di una elaborazione della realtà culturale musicale
contemporanea; recupero inteso anche come apertura nei confronti dei
linguaggi sonori correnti, filtrati nella loro eterogenia poetica, e nella loro

fusione con la tradizione musicale colta. La prospettiva del mio lavoro, è
quella di cogliere, sistematicamente, la continuità fra passato e una
personale percezione sulla realtà del mondo contemporaneo, del
presente.
Uno dei tratti distintivi del mio lavoro compositivo, anche rispetto alle
poetiche delle avanguardie storiche, e a quelle delle generazioni che mi
precedono, è quello di utilizzare, reinventare materiali e elementi
musicali, anche di lontanissime e diversissime derivazioni, in un
linguaggio compatto e unitario; tenendo sempre conto, tuttavia, di un
legame del suono teso verso la drammaturgia contemporanea.
Una differente stagione compositiva si sta, in realtà, compiendo da vari
anni, ma è necessaria una nuova generazione di critici, preparata e pronta
capire i cambiamenti e le condizioni culturali attuali.
Con il mio lavoro dico, e dimostro, da anni, ciò che teorizzo. Quello che
faccio è documentato, realizzato, con decine di pubblicazioni ed
esecuzioni. Una parte della critica italiana non capisce nulla e fraintende,
non solo me, ma quasi una intera generazione di musicisti che stanno
attraversando questo tempo con nuove strade. A volte ritrovo, con
sorpresa, “recensioni”, se così vogliamo chiamarle, sprezzanti,
irrispettose, sommarie, da parte di gente che non conosce neanche le
forme musicali e, men che mai ammetterebbe le emancipazioni di queste
forme. “Critici”, ex musicisti, impossibilitati alla professione di
musicista, intrisi, qua e la, di musica e, peggio ancora, di
“contemporaneismo” passatista, ma più che altro ignorante e sprezzante,
che scrive di musica, ha spazio, non so come e perché, su giornali o
riviste on web. Personaggi provinciali e impreparati, con addosso la
sindrome da pulpito, anche pericolosamente arroganti, che nulla, o poco,
sanno della vita e delle tensioni culturali contemporanee, che disprezzano
ciò che non riescono ad afferrare, ciò che sfugge ai loro punti retorici e
certi, pigri e stagnanti. Professorini puntuali che girano per i festivals, si
siedono in teatro, senza sapere chi andranno a sentire, usando sempre e
costantemente il loro spazietto per un compiacimento personale, per
mettersi in mostra, e per poter finalmente esercitare un poco di potere.
In Italia la critica non esiste quasi più  o in molti casi esiste solo come
una possibilità di avere visibilità. E pochi sono in
grado di leggere ciò che veramente accade in questo tempo. Tutto, o
quasi, è in mano a personaggi umorali e di DUBBIO spessore.
Riconoscere quanto sta accadendo, ora, alla musica contemporanea
europea, è di estrema importanza. Ci sono pensieri, idee, concetti, mondi,
visioni, creazioni, cataloghi e opere concrete, che non possono essere

fraintese, o addirittura mediate, delegate, almeno per l’informazione, o la
nobile costruttiva critica, a personaggi mediocri e fasulli.

4)Puoi parlarci della Sonata per chitarra sola?
Prima della sonata in 3 movimenti, desideravo moltissimo scrivere
qualcosa di corposo per chitarra, e non un pezzetto per completare il
catalogo. Il chitarrista Sante Tursi, che stimo molto, mi diede l’occasione
di lavorare ad una sonata. Mi presi un periodo di riflessione, perchè non è
facile scrivere per chitarra per chi non la suona per niente.
Parlai di questo nuovo impegno, in uno dei miei frequenti incontri, con il
mio amico e maestro Hans Werner Henze ( che, come sappiamo, molto e
bene ha scritto per chitarra), e mi disse di immaginare lo strumento, le sue
sonorità, per poi scrivere liberamente. Henze mi disse: “ Scrivi
liberamente, sarà poi il chitarrista a dirti cosa si può, o non si può fare”. A
dire la verità, dopo la scrittura i cambiamenti da parte di Sante Tursi,
furono pochissimi, e il risultato è o un lavoro che mi soddisfa ancora
molto, anche a distanza di anni. La Sonata è dedicate, nel primo
movimento, a Ian Curtus (cantante – poeta dei Joy Division) alla sua
mimica e gestualità, e al senso di un teatro che guardava ad una
introspezione ed a un tormento interiore.

5) Come nasce “Rocking Up”;?
Questo è un lavoro in continuità con la ricerca di cui parlavo prima. E’
iniziata con il cd monografico After Pop Suite, che è una sorta di Concept
album sulla ricerca trasversale e, al tempo stesso, unica, dentro i
linguaggi aperti e pregni di contenuti. Io non amo fare cd monografici
con una generale raccolta di pezzi. queste sono cose che fanno gli editori.
Per me il Cd è come un romanzo per uno scrittore. Un CD è un lavoro
che deve essere considerato nella sua interezza, come un opera a se. After
pop Suite, dicevo, è un lavoro decisivo, che ha aperto, per me, nuove
importanti frontiere. Come qualcosa che andavo cercando negli scaffali e
che non trovavo. Rocking Up è una continuita precisa, e un pezzo con
molti spunti. Sarà un riferimento per il concerto che sto preparando per
chitarra elettrica, percussioni e Orchestra.

6)Prossimi progetti chitarristici?
Per la chitarra c’è sempre qualcosa in cantiere. Sempre, in ogni nuovo
progetto, metterei una chitarra. Il prossimo lavoro importante sarà un
doppio concerto per Chitarra ellettrica, Percussioni e Orchestra. Non
scimmiotterò il rock, ma proporrò un pezzo, cercando assolutamente di

metter fuori le sonorità della chitarra e l’energia della percussione.
Cercherò di costruire un ponte fra una tradizione europea della musica
colta, e le sonorità più energiche e aperte di una inquietudine
contemporanea e sempre comunicativa.

5) Le tue più grandi ispirazioni…
Solo pochi nomi. Fra chitarristi, in questo caso, e compositori e culture in
genere, in ordine sparso: Jimi Hendrix, la musica rinascimentale per
liuto, Anour Brahem, Hans Werner Henze, l’opera di Castelnuovo
Tedesco, Michael Edge, Alberto Ginastera, Pat Metheny, David Torn,
Mike Stern, Robert Johnson, John Mc Laughlin, Frank Zappa, Johann
Sebastian Bach, David Gilmour e Pink Floyd, Bill Frisell, Jaco Pastorius,
Dom Um Romaõ, Wether Report, Alban Berg, Heiner Goebbels,
Wolfgang Rimm, la musica dei Pigmei, Gyorgy Ligeti, Klaus Kinski e
Werner Herzog, Popul Vuh, Henry Purcell, Richard Wagner, Antonio
Gramsci, la letteratura Americana, il muro di Berlino, il quartiere Pankov,
le periferie di Roma, l’architettura razionalista, la cultura ebraica, il
Teatro La Mama di New York, le strade notturne dei paesi disabitati
dell’Abruzzo e del Lazio, la luce dei quadri di Edward Hopper, le opere
di Bizhan Bassiri, Pier Paolo Pasolini, Carmelo Bene.
Non riesco a scindere gli argomenti. Non tutto ciò che cerco per fare
musica è nella musica, e neanche le ragioni per farla sono sempre in essa.

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